#19 Jacquemus ha ancora qualcosa da dire?
L'estetica provenzale fatta di lavanda, mini bags e top model sembra funzionare più su Instagram che nella vita vera
In attesa dell’inizio del mese delle sfilate, a dominare le fashion news della settimana è stato lo show di Jacquemus. Oltre alle star presenti e alla collezione, a far notizia (e a far sognare) è stata la location dell’evento: la Fondation Maeght. Una galleria situata a Saint-Paul-de-Vence, non lontano da Nizza, che ospita opere di Giacometti, Mirò e Braque (già scelta da Louis Vuitton per la sfilata Cruise 2019). Nonostante star di primissimo piano, come Julia Roberts, e immagini suggestive, la notizia in un certo senso si esaurisce qui.
Quando si parla di Jacquemus si utilizza spesso l’aggettivo aspirazionale, che molto ha a che fare con l’immaginario e l’universo estetico divenuti simbolo del brand, in particolare su Instagram. Sembra spesso che il marchio si proponga più come un moodboard da cui prendere ispirazione piuttosto che un’azienda che cerca di vendere un prodotto. È una strategia studiata e innovativa, finora vincente sotto molti aspetti, che però rischia di incatenare il brand alla sola presenza online, come nome associato all’ennesima estetica virale, più che a una boutique di Parigi.
Simon Porte Jacquemus è sempre stato più dotato e talentuoso come comunicatore che come stilista e in questo non c’è nulla di male. Anzi, la sua figura è perfettamente in linea con lo spirito (e le esigenze) dell’industria della moda contemporanea.
Non è un segreto che i punti di forza del brand siano sempre stati gli accessori, in primis le borse, a seguire le scarpe. Gli abiti sono stati spesso criticati per un design tutt’altro che eccelso e per materiali non all’altezza della fascia di prezzo. Forte di un cast stellare di modelle, l’accento viene posto non tanto sui look, ma su chi e come li indossa. La notizia è Kendall Jenner in un abito-babydoll, e non Jacquemus che vuole far diventare di tendenza quell’abito-babydoll. Una differenza sostanziale per un designer.
Sfilate tra campi di lavanda e grano, défilé all’ombra di Versailles, collezioni sullo sfondo delle saline della Camargue. Jacquemus ha fatto dell’estetica francese, in particolare quella provenzale, ciò che Dolce&Gabbana hanno fatto con quella italiana, soprattutto siciliana. L’ha ridotta a degli stereotipi (sicuramente attraenti per un pubblico straniero), riproponendola stagione dopo stagione con minime variazioni, tuttavia cementificandola nel gusto comune.
Jacquemus è uno dei pochi brand rimasti ancora indipendenti, non parte di un grande conglomerato del lusso. Di qui la scelta di sfilare slegato dai calendari ufficiali, variando di volta in volta location e applicando la formula del see now, buy now.
La domanda che sorge spontanea è: e adesso? Per quanto si potrà andare avanti facendo sfilare Gigi Hadid e Mona Tougaard nelle location più belle della Provenza? Quante altre ballerine si potranno disegnare (tralasciamo quegli stivali-infradito chiaramente ispirati a Miu Miu…). Quante altre mini bags serviranno per restare a galla? All’orizzonte, comunque, si profila qualche cambiamento. Ne è un indizio l’addio dell’ex presidente e amministratore delegato Bastien Daguzan e l’arrivo di Mélissa Ait-Ouakli come direttrice commerciale (prima da LVMH). Senza considerare i continui rumors che vorrebbero Jacquemus in persona alla guida di Givenchy, come successore di Matthew Williams.
C’è vita oltre la Provenza.
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50% Cecilia, 50% Andrea. Ho scritto per nss magazine, Harper's Bazaar Italia, Cosmopolitan e iODonna.it. Scrivo di moda anche in questa NL, tra approfondimenti, trend TikTok e ossessioni passeggere 💌